Sapere 3/2015
Darwin, selezione naturale e robotica evolutiva
di Maurizio Garbati
La melodia della salute
di Giamila Fantuzzi
Verso la tempesta perfetta
di Maurizio Fermeglia
Influenza: storia naturale di un virus trasformista
di Mauro Delogu e Claudia Cotti
Stress, immunità e salute delle api
di Francesco Pennacchio e Francesco Nazzi
Gli articoli
EDITORIALE
Lo tsunami
di Nicola Armaroli
SATELLITE
news a cura di Valentina Tudisca
ARTICOLI
ROBOTICA
Darwin, selezione naturale e robotica evolutiva
di Maurizio Garbati
FISIOLOGIA
La melodia della salute
di Giamila Fantuzzi
CLIMA
Verso la tempesta perfetta
di Maurizio Fermeglia
MEDICINA
Influenza: storia naturale di un virus trasformista
di Mauro Delogu e Claudia Cotti
ENTOMOLOGIA
Stress, immunità e salute delle api
di Francesco Pennacchio
SCIENZA A SCUOLA
Basta una mela!
di Paola Fini e Pinalysa Cosma
STORIE DI... VULCANI
Quel pomeriggio di un giorno da cani
di Luigi Vigliotti
RUBRICHE
TERRA, TERRA!
Laghi perduti
di Alina Polonia
PROTEINE OPERAIE
... ed è subito seta
di Massimo Trotta
HOMO MATHEMATICUS
La rosa irrazionale
di Roberto Natalini
SPAZIO ALLA SCUOLA
La scuola rende liberi
di Stefano Sandrelli
CAFFÈ SCIENZA
Le dinamiche sociali nell’èra di internet
a cura di Cinzia Belmonte
MOLECOLE IN CUCINA
I fibrati
di Hervé This
FISICA? UN GIOCO
L’importanza della cronaca locale
di Federico Benuzzi
COSCIENZIAT@
Un lavoro vale l’altro?
di Marco Cervino e Cristina Mangia
L’ISTINTO MUSICALE
Di nuovo dal principio
di Philip Ball
SCIENZA LIGHT
LIBRI
IL RACCONTO
Uno stipendio da fame
di Francesco Paloschi
BUFALE E MISTERI
I misteriosi crateri siberiani
di Monica Marelli
DISSAPERI
Le cipolle che non fanno piangere
di Stefano Pisani
GRAPHIC NOVEL
Feynman e il disastro del Challenger
di Tiziano Renna
LA MAPPA
All’armi!
Lo tsunami
Nicola Armaroli
Ogni giorno percorro 20 km di pianura bolognese per andare al lavoro, un’icona del miracolo economico italiano: distese di capannoni in mezzo a campi coltivati come giardini. Tuttavia, uno sguardo più approfondito mostra che in pochi anni il paesaggio è molto cambiato. Capannoni in ottimo stato, circondati da piazzali e parcheggi deserti, indicano impietosamente fabbriche che hanno chiuso i battenti. Spesso si sono trasferite in Europa orientale, la più vicina frontiera della manodopera a basso costo. La campagna ha cambiato volto, sono spariti gli alberi da frutto per far spazio a distese di grano e mais: i braccianti costano. Mio nonno diceva che il nostro terreno era fatto per i peschi e i peri. Nel suo campo non ha mai coltivato mais, sospetto che avesse le sue buone ragioni. Lui invece non avrebbe mai sospettato che il mais potesse essere usato per produrre biogas e non polenta.
È in corso da anni la più grande crisi economica dal Dopoguerra. Vari governi ne hanno annunciato più volte la fine, per poi essere regolarmente smentiti. La disoccupazione colpisce duro, e forse è utile chiedersi se sia la “solita” crisi ciclica o se sia una faccenda più seria, cioè una crisi strutturale del modello di economia che ha dominato la scena per decenni.
C’è chi suggerisce che il futuro del lavoro sia l’economia digitale. Alcuni dati, tuttavia, non forniscono l’identikit di una panacea. Facebook ha poco più di 8000 dipendenti, la “vecchia” IBM quasi 500 000 ma, alla Borsa di New York, la prima vale il 40% più della seconda. Quando Facebook acquistò WhatsApp per 19 miliardi di dollari, quest’ultima contava 55 dipendenti: meno di quelli di una miriade di aziende italiane che oggi lottano per sopravvivere. È vero, alcune persone geniali e fortunate sono diventate ricchissime creando un’applicazione per telefoni cellulari (app) su cui avevano investito 5000 euro. Anni di estenuanti battaglie tra tassisti e governi italiani sono stati derubricati – e quasi ridicolizzati – da un’app gratuita. Questi sviluppi inattesi, tuttavia, non cancellano la realtà fotografata da un recente studio svedese: nel 2010 solo lo 0,5% della forza lavoro degli Stati Uniti era impiegato presso aziende che non esistevano 10 anni prima.
Nei Paesi più ricchi è finita un’epoca d’oro di crescita economica e opportunità di lavoro. La nuova economia ci porta vari benefìci, ad esempio un’impetuosa diffusione delle informazioni e della conoscenza. Ma non produce l’atteso numero di posti di lavoro. La situazione è complicata dalle dinamiche demografiche: una popolazione europea stabile che tende a invecchiare non alimenta la domanda interna, traino storico ai tempi del boom economico, che coincise appunto con il baby boom.
Con la realtà che prende queste pieghe, bisogna avere il coraggio di ammettere che la nostra “crescita” è finita e dobbiamo abituarci a gestire, come minimo, un’economia stazionaria. Come tutte le realtà umane, la ricchezza materiale non può crescere all’infinito: un’ovvietà assoluta che fior di economisti si rifiutano di accettare. E anche molti politici, opinionisti, industriali e sindacalisti.
Di fronte a questo tsunami che ha colto tutti di sorpresa, governi e autorità monetarie usano una ricetta vecchia di secoli: stampare moneta. Questo fiume di denaro in libertà ha contribuito a gonfiare a dismisura i valori di Borsa. A questo si aggiunge una Finanza spesso governata da ciechi algoritmi matematici sconnessi dalla ricchezza prodotta realmente tramite il lavoro, che scarseggia. Il mondo è pieno di soldi finti, l’Europa è piena di disoccupati.
Intanto si sta preparando la tempesta perfetta, come ci spiega in questo numero Maurizio Fermeglia. E sembra proprio che non stiamo facendo del nostro meglio per prevenirla.