Sapere 4/2022
Cinquant’anni di crescita senza limiti
di Luca Pardi
Le voci nascoste della Silicon Valley
di Carla Petrocelli
La grotta Azzurra di Samatorza
di Rita Blanos e Alessandro Pavan
La fusione laser per l’energia, dall’ignizione al futuro reattore
di G. Cristoforetti e L.A. Gizzi
La matematica dei terremoti: modelli e algoritmi
di Paola F. Antonietti e Ilario Mazzieri
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Un Paese immenso
di Nicola Armaroli
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Cinquant’anni di crescita senza limiti
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Le voci nascoste della Silicon Valley
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La grotta Azzurra di Samatorza
di Rita Blanos e Alessandro Pavan
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La fusione laser per l’energia, dall’ignizione al futuro reattore
di Gabriele Cristoforetti e Leonida A. Gizzi
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La matematica dei terremoti: modelli e algoritmi
di Paola F. Antonietti e Ilario Mazzieri
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Amanti tenaci di meduse immortali
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Ancora più vicini al Big Bang
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Le nanoparticelle che puliscono l’acqua
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HOMO MATHEMATICUS
Ma il cielo è sempre più blu
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proteine operaie
Le proteine del colonnello Kurtz
di Massimo Trotta
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di Stefano Bertacchi
l’istinto musicale
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spazio alla scuola
Il primo workshop didattico dei Paesi del Mediterraneo: a Lampedusa
di Stefano Sandrelli
molecole in cucina
Il coperchio è importante
di Hervé This
numeri in gioco
Magie lontane
di Ennio Peres
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IL RACCONTO
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di Francesco Paloschi
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Il mistero del temporale “soffocante”
di Monica Marelli
SCIENZA DA TAVOLO
Sulle orme di Lidenbrock
di Marco Signore
GRAPHIC NOVEL
Amazing Grace
di Alessia Pesce
LA MAPPA
Chiudi il rubinetto!
Nicola Armaroli
Quindici anni fa mostravo nelle conferenze la pubblicità di una grande azienda petrolifera che recitava: «Nel mondo ci sono 193 nazioni, nessuna è energeticamente indipendente». In effetti neanche l’Arabia Saudita lo è: non riesce a raffinare tutto il petrolio che le serve. Oggi, per sottolineare questo concetto più che mai importante, mostro un planisfero che evidenzia un fatto cui occorre rassegnarsi: le risorse della Terra sono localizzate. Per esempio, petrolio e gas si trovano principalmente tra la Siberia e il Golfo Persico, in Nord America e in Venezuela; il litio e il rame in Sud America e in Australia; le terre rare in Cina; i metalli preziosi in Russia e Sud Africa.
Su un pianeta fatto così, vi è una sola strategia per avere successo nella transizione energetica: cooperare. Nessuna nazione al mondo può infatti pensare di farcela da sola: per non affondare tutti insieme, dobbiamo condividere risorse, conoscenza, regole, apparati industriali.
Purtroppo, in questi mesi, il mondo si è mosso in direzione opposta. L’invasione russa dell’Ucraina ha innescato una spirale di tensione che restringe, anziché allargare, gli spazi di cooperazione.
La Russia è di gran lunga il più grande esportatore di energia al mondo: il primo di gas, il secondo di petrolio, il terzo di carbone. È un produttore mondiale chiave di alluminio, nichel, palladio e tanti altri elementi che fanno funzionare gli oggetti che usiamo ogni giorno, dalla lavatrice all’automobile. Russia e Ucraina, insieme, primeggiano nel commercio mondiale di ferro, acciaio, fertilizzanti e nell’industria aerospaziale. La Russia è il primo esportatore mondiale di grano, assieme all’Ucraina copre oltre il 25% dell’export globale. Scatenando la guerra, Putin era perfettamente consapevole di innescare un terremoto economico globale. L’obiettivo non è solo conquistare il Donbass (ricchissimo di risorse…), ma affermare il ruolo di superpotenza, che si valuta sempre meno sulla dimensione degli arsenali e sempre più sulla disponibilità di terreni agricoli e miniere.
Nel fiume quotidiano di commenti sulla guerra in Ucraina ho l’impressione che la lettura sia spesso ancorata al passato, con grande enfasi sugli schieramenti e gli arsenali militari, come all’epoca della Guerra fredda. Sorvolando la Russia in viaggio verso l’Estremo Oriente, colpisce l’immensità dei suoi territori, largamente disabitati e pieni di sterminati terreni coltivabili, immense foreste, miniere, campi petroliferi. La Russia si estende su 11 fusi orari, è grande 57 volte l’Italia e ha 144 milioni di abitanti, poco più del doppio di noi. Sconfinata e vuota, è un immenso forziere di risorse minerarie e agricole di cui il mondo intero non può fare a meno. Tutti, volenti o nolenti, dovranno farci i conti, in un pianeta sempre più surriscaldato e affamato di energia, cibo, acqua; soprattutto noi vicini di casa europei.
Credo che Putin lo avesse ben chiaro in mente la mattina del 24 febbraio, quando sferrò il suo ignobile attacco. Non sono sicuro che sia altrettanto chiaro ai leader politici dei Paesi occidentali. Temo che il popolo ucraino non sia l’ultima vittima della Guerra fredda, ma la prima della guerra per la nuova supremazia planetaria, giocata sulle risorse. È una guerra che noi europei non potremo mai vincere e a nulla servirà l’ombrello della più potente alleanza militare di sempre.
Fra pochi anni inizieremo a piantare banane e ananas in Pianura Padana. Per noi si ridurranno, sino ad azzerarsi, i margini per coltivare grano e riso. Il mondo è cambiato. Prima adeguiamo lo sguardo con cui leggerlo, meno ci faremo male. Sforzandoci di trovare percorsi, difficilissimi, di pace e cooperazione avremo forse più margini per negoziare. Anche con chi non ci piace, neanche un po’. L’alternativa, semplicemente, è il caos globale e il moltiplicarsi dei crimini contro gli innocenti.